martedì 11 marzo 2014

Quaderni Tecnici e Storici

Quaderni Tecnici e Storici
Vi propongo la lettura in spagnolo, le figure sono in italiano, di preziosissime indicazioni sul Naihanchi da parte del M°Motobu.
Questo maestro, originario di Okinawa, fu l'istruttore di questo Kata del M°Otsuka, come racconta egli stesso chiamadolo Kibe.
Oltre la sequenza del kata molto simile a quella Wado Ryu e assimilabile a quelle di altri stili, vi propongo le applicazioni che superano il concetto del semplice bunkai per raccontare la strategia di combattimento proposta dal Naihanchi.
Di particolare rilevanza sono le tecniche "doppie" che il M°Motobu mostra nelle sue applicazioni diventato un concetto fondamentale nello studio dei Kata del Wado Ryu.

M° Maurizio Orfei



 
 

























giovedì 16 gennaio 2014

Perle di Saggezza..

Il Programma Tecnico Wadoryu va praticato costantemente.

Il programma di Wado Ryu ha delle caratteristiche che non devono essere confuse con l'idea utopica del Karate Universale.
Un pugno sembra essere uguale per tutti, ma l'impianto tattico che lo sottende, cioè l'utilizzo secondo i principi dello stile, sono diversi.
Inoltre, ogni singolo Maestro introduce le modifiche interpretative e didattiche dei principi che si attualizzano nelle tecniche. Questo è naturale e fa parte della natura del Karate stesso e del rapporto fra Maestro e Allievo.

Il Maestro percorre la sua strada insieme agli Allievi. Li istruisce e istruisce se stesso tramite loro.
Se l'Allievo deve sostenere un esame annuale, il Maestro lo sostiene ad ogni allenamento, ad ogni tecnica, ad ogni parola che pronuncia.

Non si possono fare sconti sul Programma Tecnico. La preparazione deve essere solida e completa. Se la parte fisica può essere solo sufficiente, non così quella conoscitiva. Un Kata, ad esempio, può anche non essere eseguito come per vincere una gara, ma i principi che esprime devono essere stati compresi e l'allievo deve essere in grado di padroneggiarli al di fuori dello schema stesso.

Non è quindi sufficiente "sapere" un Kata o un Kumite Kata, ma bisogna saperli padroneggiare ed estrapolarli dal loro contesto didattico. Il passo successivo è quello di ritornare alla forma originale, che solo ora, ha finalmente svelato i principi per cui è stata pensata dal Fondatore.

Aprire la mente e l'intelligenza del praticante credo sia lo scopo ultimo del Karate Wado Ryu, ma ciò non sarà possibile se il praticante non sarà preparato mentalmente a questa metodologia, compito primo del Maestro.
Si impara per insegnare quando si è pronti, e non solo per il numero di nozioni apprese, ma perchè si è diventati insegnanti attraverso un percorso che sfiora l'auto analisi psicologica, la conoscenza di se stesso e di quanto la materia marziale possa modificare il nostro animo.

...comunque..uno tsuki rimane sempre uno tsuki...

un abbraccio. 


M° Maurizio Orfei

sabato 21 dicembre 2013

Il Junzuki Notsukomi


Schede tecniche di Wadoryu


Il Junzuki Notsukomi




La prima postura rappresentata è quella di Kamae e serve per avere un punto di riferimento.


Le costruzioni geometriche utilizzano come riferimento l’asse verticale che passa per la punta del ginocchio.


Nella Kamae, la gamba è quasi dritta, con il ginocchio leggermente piegato in avanti e la distanza fra i piedi è di circa due piedi.




Nel Junzuki, la distanza fra gli appoggi, passa circa tre piedi e la perpendicolare di riferimento si trasferisce al centro del piede. La distanza operativa per lo Tsuki richiede di guadagnare appunto un piede rispetto al Kamae e, mantenendo il busto in pratica dritto, si porta la tecnica a bersaglio.




Il Notsukomi non è altro che uno Junzuki che ha bisogno di guadagnare un po’ di gittata. Per ottenerla, si proietta il busto in avanti aumentando l’allineamento delle anche verso il bersaglio e sporgendosi in avanti. Il corpo si adegua a questa necessità e la perpendicolare del ginocchio la troviamo che è avanti al piede e il busto si è allineato all’inclinazione della gamba posteriore che è maggiormente distesa.


La maggiore angolazione delle anche costringe il piede ad aprirsi un po’, quanto basta, non di molto comunque, pena la giusta direzione delle linee di forza che supportano la tecnica avanzata.




La distanza fra i piedi rimane di tre piedi. Un assestamento è tollerato, ovvio, mezzo piede in più, ma non è obbligatorio nell’eseguire la tecnica in avanti come nel Khion.


Non dimentichiamoci che nello stile sono previste le tecniche e posture di Tobikomi Tsuki e Tobikomi Nagashi, entrambe figlie del Notsukomi, ma con una dinamica e utilizzo diverso. 

Sensei Maurizio Orfei .
Schede tecniche di Wadoryu 
Lo Junzuki Notsukomi

La prima postura rappresentata è quella di Kamae e serve per avere un punto di riferimento.
Le costruzioni geometriche utilizzano come riferimento l’asse verticale che passa per la punta del ginocchio.
Nel kamae, la gamba è quasi dritta, con il ginocchio leggermente piegato in avanti e la distanza fra i piedi è di circa due piedi.

Nello Junzuki, la distanza fra gli appoggi, passa circa tre piedi e la perpendicolare di riferimento si trasferisce al centro del piede. La distanza operativa per lo Tsuki richiede di guadagnare appunto un piede rispetto al Kamae e, mantenendo il busto in pratica dritto, si porta la tecnica a bersaglio.

Il Notsukomi non è altro che uno Junzuki che ha bisogno di guadagnare un po’ di gittata. Per ottenerla, si proietta il busto in avanti aumentando l’allineamento delle anche verso il bersaglio e sporgendosi in avanti. Il corpo si adegua a questa necessità e la perpendicolare del ginocchio la troviamo che è avanti al piede e il busto si è allineato all’inclinazione della gamba posteriore che è maggiormente distesa.
La maggiore angolazione delle anche costringe il piede ad aprirsi un po’, quanto basta, non di molto comunque, pena la giusta direzione delle linee di forza che supportano la tecnica avanzata.

La distanza fra i piedi rimane di tre piedi. Un assestamento è tollerato, ovvio, mezzo piede in più, ma non è obbligatorio nell’eseguire la tecnica in avanti come Khion.
Non dimentichiamoci che nello stile sono previste le tecniche e posture di Tobikomi Tsuki e Tobikomi Nagashi, entrambe figlie del Notsukomi, ma con una dinamica e utilizzo diverso.

mercoledì 25 settembre 2013

I Neko Ashi

Gli Scritti del M° Maurizio Orfei.

"I NEKO ASHI"

Credo che il Wadoryu sia lo stile di Karate che conti il maggior numero di codificazioni del Neko Ashi di qualsiasi altro stile.

Ne abbiamo quattro.

Le diverse correnti cambiano i nomi o li riducono a due, ma la codificazione, ritengo, serva a comprende meglio lo sviluppo dei questo concetto motorio.

La postura con un piede in appoggio solo sulla punta non è certo molto stabile e va considerata di passaggio verso un'altra più solida. La forma in se è importante per lo studio e lo stile.
Anche le tecniche costruite su questa postura non possono essere risolutive ne potenti.


Un Giakuzuki in Neko Ashi non ha sostegno e la reazione all’impatto potrebbe addirittura far perdere l’equilibrio a chi lo tira…provate davanti ad un sacco.

La denominazione delle varie forme del Neko Ashi derivano dal rapporto con la posizione dell’avversario in parte, e dalla apertura delle anche rispetto alla posizione iniziale.
Questo ha indotto molti errori di valutazione della tecnica e di comprensione della dinamica.

Shomen, significa frontale, è riferito alla posizione nei confronti dell’avversario. Nel grafico è mostrata la costruzione partendo dallo Shizentai Hidari o Migi, e si ottiene arretrando il baricentro sulla proiezione a terra che passa per l’articolazione coxofemorale e non sulla gamba come viene usualmente illustrato. (immagine Shomen Neko Ashi)
Una precisazione che ci consente di definire i Neko Ashi del Wado Ryu rispetto a posture simili, come il Neko ashi di altri stili e in particolare con il Kokutsu Dachi.
La ripartizione dei pesi, 70-30, 60-40 fra le gambe rimane valida, ma il baricentro non può trovarsi sulla proiezione del piede semplicemente per come siamo fatti e per la filosofia di combattimento del Wado Ryu.

Hanmi Neko Ashi (idem immagine) è generato dalla posizione di Kamae portano il peso indietro sulla l’articolazione dell’anca. Per consentire l’apertura di circa 45°, il piede posteriore cambia posizione e si pone con un angolazione di circa 90° rispetto alla linea frontale. E’ la più solida delle posizioni del “gatto”, tanto che nei Kata sono inserite tecniche di braccio come Uraken e Soto Uke.

Ma Hanmi Neko Ashi ( idem immagine) proviene didatticamente dalla postura di Junzuki Dachi.
Le anche si aprono quasi a 180° rispetto alla linea frontale e il piede posteriore si posizione con un’angolazione di 110° circa.
La finalità di questa postura e quella del Nagashi, far passare l’attacco e le tecniche indicate nei Kata, sono Shuto Uke e Kakete.

Vediamo ora l’utilizzo dinamico dei Neko Ashi.
Il motore è la rotazione delle anche utilizzata per schivare ed assorbire.
Nello Shomen e il suo omologo Gyaku, la rotazione è praticamente sul posto l’indicazione dei “90°” rispetto alla linea frontale, ci indica la rotazione da esegeuire , cioè 90° per trovarci, secondo la scelta tattica, rispetto alla linea dell’attacco avversario, Pinan Sandan, o posteriormente, come nel 5° e 6° Sanbon Geri o meglio nel 2° Khion Kumite.
Per lo Gyaku Neko Ashi va precisato che l’anca assume una rotazione “al contrario” e questa caratteristica, ad esempio nello Yondan, lo assimila allo Gyaku Zuki Tobikonde, volendo considerare questa postura nella sua natura di sostegno per un attacco dalla cortissima distanza.

Nel Hanmi Nekoashi, seguendo la stessa indicazione, l’angolo delle anche rispetto alla direzione è di 45° e indica il principio dell’assorbimento utilizzato nel Jujutsu.
La particolarità wado è che oltre all’assorbimento c’è il Nagashi, la schivata, e il Noru, cioè sfruttare l’angolazione della postura provvisoria per lanciare un Uraken portandosi fuori dalla linea di attacco.

Ma Han Mi Neko Ashi, grande apertura dell’anca, fa passare oltre l’attacco ipotizzandolo molto lungo.
Il principio applicato è quello del Nagashi e le tecniche indicate dai kata sono Shuto Uke, Haitto Uke per intercettare e deviare e Kakete per afferrare, come nello Yondan e come caratteristica comune alle posture precedenti, di arrivare a bersaglio utilizzando l’allungo stesso dell’avversario.


martedì 24 settembre 2013

I Nagashi


Gli Scritti del M° Maurizio Orfei. 

I Nagashi

Sarebbe più corretto dire il Nagashi inteso come concetto del combattimento.
La traduzione ordinaria è “schivare”, cioè lasciar passare la tecnica avversaria.
Nella codifica del Wadoryu abbiamo il Tobikomi Nagashi con delle caratteristiche ben definite. 
Si parte da Shizentai, destro o sinistro, si scivola in avanti lungo la linea del piede anteriore, contemporaneamente si lanciano i due pugni, il Mae va a bersaglio mentre l’altro si posizione all’altezza del mento in protezione e contemporaneamente si allineano le anche al vettore di avanzamento per evitare il colpo.Si richiamano le braccia in Kamae e si ritrova l’allineamento richiamando le anche e ritrovando un equilibrio più stabile e riportando indietro, in Shizentai, il piede anteriore.

Il concetto di Nagashi si esprime dalla posizione di Kamae (immagine 1) portando uno Junzuki Chudan e schivando di misura il pugno avversario. Il piede anteriore scivola in avanti diretto, senza fare spostamenti laterali, Naname Ashi, e la forma codificata è quella di Junzuki Dachi classico.
Nel Tobikomi Nagashi abbiamo una distanza diversa dal bersaglio che nella didattica è a livello Jodan.
 Per arrivare, bisogna utilizzare la forma di Notsukomi Junzuki oltre il guadagno in Okuri Ashi, il passo scivolato in avanti sempre sulla linea di avanzamento e non lateralmente.
 
 Per schivare bisogna ruotare le anche: se l’attacco e di pugno, probabilmente la rotazione sul posto è sufficiente (immagine 2). Nel caso del Nagashi da un calcio, oltre la rotazione diventa più importante e trascina con se la gamba e il piede posteriore.

Nel Nagashi Gyakuzuki (immagine 4) la schivata è operata con tutto il corpo. Il braccio Jun assume la forma di una parata e funge quasi da perno per la rotazione del corpo; la postura è quella di Gyakuzuki Dachi per sostenere lo Gyakuzuki ch e trova la sua energia nella traslazione in avanti e nella contro rotazione delle anche, se pur di poca entità.Tutte le forme di Nagashi prevedono la reazione in SEN no SEN, cioè la risposta contemporanea dell’attacco.Questo principio è modulato dal concetto di MA-AI, cioè nel trovare la distanza giusta per noi per portare a bersaglio la nostra tecnica.Per il Wado si parla anche di NORU, legare la tecnica di risposta a quella di attacco e la valutazione dell’applicazione di questo principio va fatta sul movimento complessivo del nostro corpo. E’ la schivata stessa che si adatta, lega, la risposta all’attacco.Il principio di IRIMI, entrare, si attua “andando dritti”, almeno nella fase di studio. 


Giakuzuki e relative posture.

Gli Scritti del M° Maurizio Orfei.

Si parte dalla postura di Junzuki Dachi o Zenkutsu, (immagine Zenkutsu Dachi) dando per scontato la conoscenza della costruzione.

Il pugno costruito su questa posizione con il baricentro avanzato è quello di maggiore gittata senza sacrificare l’equilibrio come nel caso del Notsukomi.

La costruzione statica.
Il Gyakuzuki ha una gittata minore rispetto allo Junzuki se non si utilizzano dinamicamente le anche,
La rotazione vigorosa che sottende il lancio di questo pugno, costringe ad una modifica della distanza fra i piedi che si riduce di circa un piede e di altrettanto si allarga (immagine Giakuzuki Dachi)

La costruzione dinamica.
Alla domanda ricorrente: “Quale piede di muove nello Gyakuzuki?” e l’altra successiva: “Come fa la Wadokai? Come fa la Renmei?”…rispondo che le domande sono sbagliate, entrambe e che, comunque il piede non deve essere mosso per fare Gyakuzuki, ma è costretto a muoversi.

Ora consideriamo le situazioni dinamiche, cioè dove e quando il rapporto distale con l’avversario non corrisponde a quello previsto per l’analisi della costruzione statica, avendo come elemento di base la contro rotazione delle anche, condizione necessaria per l’esecuzione corretta dello Gyaku Zuki.

Prima situazione:
il mio Junzuki è arrivato a bersaglio e l’avversario ha accusato il colpo rimanendo fermo; devo doppiare con Gyakuzuki trovando lo spazio per entrare con la tecnica; contro rotazione dell’anca che conferisce potenza e il mio piede anteriore si sposta lateralmente e indietro giusto di un piede per consentire la massima dinamica alla tecnica nella sua posizione ideale, cioè Gyakuzuki Dachi (immagine Gyakuzuki Dachi)

Seconda situazione:
lancio il mio Junzuki che è assorbito dal mio avversario con un piccolo scivolamento indietro; l’inerzia del mio movimento mi consente di lanciare lo Giakuzuki ruotando le anche ma per compensare la maggiore distanza, devo ruotare un po’ di più e il piede posteriore, l’unico che può muoversi, supporta questa azione avvicinandosi all’altro. (immagine Tobikonde Gyakuzuki Dachi)

Terza situazione:
il mio avversario cerca di trovare il suo MAAI, cioè la distanza per lui opportuna per costruire un attacco; mi muovo cercando di impedirlo e nello stesso tempo di trovare la mia distanza operativa; un piccolo spostamento laterale con il piede anteriore, Soto Ashi, mi permette di avere l’anca caricata per una tecnica Giaku, sia essa uno Tsuki o una tecnica di Geri.( immagine Soto Ashi)

Quarta situazione:
il mio avversario tira un Kizami e schivo spostandomi lateralmente e lancio il mio Giakuzuki di incontro; la schivata mi costringe ad abbassare il baricentro ma devo convogliare l’energia del colpo verso il centro e trovare nella postura, praticamente laterale, la stabilità necessaria per sostenere l’impatto del colpo.
Per questo il piede anteriore che si è spostato lateralmente continua a “guardare” l’avversario…(immagine Tobikomi Giakizuki).

Dovreste pormi una domanda: “Ma tutta questa suddivisione di tecniche serve realmente?”
Se prestate servizio presso i Lagunari o le Teste di Cuoio, non vi serve a niente…

Se invece praticate le Arti Marziale nell’accezione del DO, l’autorealizzazione attraverso il perfezionamento delle azioni, credo che queste disquisizioni possano essere utili, se non necessarie.
Non sono le singole posture viste come elementi statici che determinano gli elementi di uno stile, ma loro funzione in quanto esse stesse sono generate da questa.
Non porto un pugno “bello”, porto un pugno efficace e fra gli elementi che ottimizzano l’efficacia di una tecnica, ci sono le posture come elementi strutturali anatomici fondamentali. 



Le Posture e le loro correlazioni

Gli Scritti del M° Maurizio Orfei

Le posture di Karate sono correlate fra di loro.

Nel combattimento esiste la mobilità e la variabilità continua del baricentro e dell'angolazione delle anche.
Lo schema propone le posture classiche e la trasformazioni in altre in base allo spostamento del baricentro in avanti o in arretramento.
L'altra variabile è l'angolo che si forma con il vettore anteriore relativamente all'arto utilizzato.

Abbiamo quindi la serie dei Junzuki in Shizentai, Kamae, Zenkutsu Dachi, e Notsukomi, posture con baricentro avanzato.

Da queste posture nascono le corrispettive con il baricentro arretrato; Shomen neko ashi, Hanmi Neko Ashi, Ma Hanmi Neko Ashi.
Il Giaku Neko Ashi, chiamato anche Sankaku Dachi proviene dallo spostamento in avanti del baricento partendo dallo Shizentai e il piede posteriore assume la caratteristica forma con il tallone sollevato.

Dalle posture con il baricento in avanti e con l'anca ruotata verso la gamba anteriore, nascono per la controrotazione delle anche, le tecniche Gyaku;
La rotazione delle anche e gli altri fattori del combattimento, cioè la distanza e la schivata inducono ad adattare la posizione dei piedi a queste necessità.
Avremo quindi lo Gyakuzuki dallo Junzuki con il bersaglio alla stessa distanza in cui per arrivare, si dovranno ruotare le anche che come conseguenza costringeranno il piede anteriore ad un piccolo richiamo all'indietro, altrimenti il pugno Gyaku non potrebbe arrivare alla massima estensione possibile.

  Il Gyaku Zuki Notsukomi è una tecnica odiata ma conosciuta che contiene la schivata.

Fra queste due distanze ne esiste una intermedia che ho chiamato Soto Ashi Gyaku Zuki...Soto Ashi è un passo laterale non grande quanto per costruire il Notsukomi ed è più dinamico. La rotazione è contemporanea allo spostamento del piede anteriore.

Tobikonde Gyakuzuki, tanto amata dagli agonisti per l'effetto "trapano" accompagnato da inverecondi Kiai prolungati degni del compianto Pavarotti, è una tecnica che nasce dalla controrotazione delle anche ma che deve anche guadagnare allungo e quindi questo movimento è assecondato dall'avanzamento del piede posteriore che ricorda, ma non è, lo Gyaku Nekoashi, in quanto i piedi dovrebbero essere entrambi poggiati a terra.

La versione sportiva del Tobikonde la consideriamo una licenza poetica....

Le tecniche modulano l'una nelle altre, quasi senza soluzione di continuità e questi ci porta a ragionare sui Renraku Waza.

Delle tecniche e posture in Tobikomi a breve

Maurizio Orfei

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