sabato 21 dicembre 2013

Il Junzuki Notsukomi


Schede tecniche di Wadoryu


Il Junzuki Notsukomi




La prima postura rappresentata è quella di Kamae e serve per avere un punto di riferimento.


Le costruzioni geometriche utilizzano come riferimento l’asse verticale che passa per la punta del ginocchio.


Nella Kamae, la gamba è quasi dritta, con il ginocchio leggermente piegato in avanti e la distanza fra i piedi è di circa due piedi.




Nel Junzuki, la distanza fra gli appoggi, passa circa tre piedi e la perpendicolare di riferimento si trasferisce al centro del piede. La distanza operativa per lo Tsuki richiede di guadagnare appunto un piede rispetto al Kamae e, mantenendo il busto in pratica dritto, si porta la tecnica a bersaglio.




Il Notsukomi non è altro che uno Junzuki che ha bisogno di guadagnare un po’ di gittata. Per ottenerla, si proietta il busto in avanti aumentando l’allineamento delle anche verso il bersaglio e sporgendosi in avanti. Il corpo si adegua a questa necessità e la perpendicolare del ginocchio la troviamo che è avanti al piede e il busto si è allineato all’inclinazione della gamba posteriore che è maggiormente distesa.


La maggiore angolazione delle anche costringe il piede ad aprirsi un po’, quanto basta, non di molto comunque, pena la giusta direzione delle linee di forza che supportano la tecnica avanzata.




La distanza fra i piedi rimane di tre piedi. Un assestamento è tollerato, ovvio, mezzo piede in più, ma non è obbligatorio nell’eseguire la tecnica in avanti come nel Khion.


Non dimentichiamoci che nello stile sono previste le tecniche e posture di Tobikomi Tsuki e Tobikomi Nagashi, entrambe figlie del Notsukomi, ma con una dinamica e utilizzo diverso. 

Sensei Maurizio Orfei .
Schede tecniche di Wadoryu 
Lo Junzuki Notsukomi

La prima postura rappresentata è quella di Kamae e serve per avere un punto di riferimento.
Le costruzioni geometriche utilizzano come riferimento l’asse verticale che passa per la punta del ginocchio.
Nel kamae, la gamba è quasi dritta, con il ginocchio leggermente piegato in avanti e la distanza fra i piedi è di circa due piedi.

Nello Junzuki, la distanza fra gli appoggi, passa circa tre piedi e la perpendicolare di riferimento si trasferisce al centro del piede. La distanza operativa per lo Tsuki richiede di guadagnare appunto un piede rispetto al Kamae e, mantenendo il busto in pratica dritto, si porta la tecnica a bersaglio.

Il Notsukomi non è altro che uno Junzuki che ha bisogno di guadagnare un po’ di gittata. Per ottenerla, si proietta il busto in avanti aumentando l’allineamento delle anche verso il bersaglio e sporgendosi in avanti. Il corpo si adegua a questa necessità e la perpendicolare del ginocchio la troviamo che è avanti al piede e il busto si è allineato all’inclinazione della gamba posteriore che è maggiormente distesa.
La maggiore angolazione delle anche costringe il piede ad aprirsi un po’, quanto basta, non di molto comunque, pena la giusta direzione delle linee di forza che supportano la tecnica avanzata.

La distanza fra i piedi rimane di tre piedi. Un assestamento è tollerato, ovvio, mezzo piede in più, ma non è obbligatorio nell’eseguire la tecnica in avanti come Khion.
Non dimentichiamoci che nello stile sono previste le tecniche e posture di Tobikomi Tsuki e Tobikomi Nagashi, entrambe figlie del Notsukomi, ma con una dinamica e utilizzo diverso.

mercoledì 25 settembre 2013

I Neko Ashi

Gli Scritti del M° Maurizio Orfei.

"I NEKO ASHI"

Credo che il Wadoryu sia lo stile di Karate che conti il maggior numero di codificazioni del Neko Ashi di qualsiasi altro stile.

Ne abbiamo quattro.

Le diverse correnti cambiano i nomi o li riducono a due, ma la codificazione, ritengo, serva a comprende meglio lo sviluppo dei questo concetto motorio.

La postura con un piede in appoggio solo sulla punta non è certo molto stabile e va considerata di passaggio verso un'altra più solida. La forma in se è importante per lo studio e lo stile.
Anche le tecniche costruite su questa postura non possono essere risolutive ne potenti.


Un Giakuzuki in Neko Ashi non ha sostegno e la reazione all’impatto potrebbe addirittura far perdere l’equilibrio a chi lo tira…provate davanti ad un sacco.

La denominazione delle varie forme del Neko Ashi derivano dal rapporto con la posizione dell’avversario in parte, e dalla apertura delle anche rispetto alla posizione iniziale.
Questo ha indotto molti errori di valutazione della tecnica e di comprensione della dinamica.

Shomen, significa frontale, è riferito alla posizione nei confronti dell’avversario. Nel grafico è mostrata la costruzione partendo dallo Shizentai Hidari o Migi, e si ottiene arretrando il baricentro sulla proiezione a terra che passa per l’articolazione coxofemorale e non sulla gamba come viene usualmente illustrato. (immagine Shomen Neko Ashi)
Una precisazione che ci consente di definire i Neko Ashi del Wado Ryu rispetto a posture simili, come il Neko ashi di altri stili e in particolare con il Kokutsu Dachi.
La ripartizione dei pesi, 70-30, 60-40 fra le gambe rimane valida, ma il baricentro non può trovarsi sulla proiezione del piede semplicemente per come siamo fatti e per la filosofia di combattimento del Wado Ryu.

Hanmi Neko Ashi (idem immagine) è generato dalla posizione di Kamae portano il peso indietro sulla l’articolazione dell’anca. Per consentire l’apertura di circa 45°, il piede posteriore cambia posizione e si pone con un angolazione di circa 90° rispetto alla linea frontale. E’ la più solida delle posizioni del “gatto”, tanto che nei Kata sono inserite tecniche di braccio come Uraken e Soto Uke.

Ma Hanmi Neko Ashi ( idem immagine) proviene didatticamente dalla postura di Junzuki Dachi.
Le anche si aprono quasi a 180° rispetto alla linea frontale e il piede posteriore si posizione con un’angolazione di 110° circa.
La finalità di questa postura e quella del Nagashi, far passare l’attacco e le tecniche indicate nei Kata, sono Shuto Uke e Kakete.

Vediamo ora l’utilizzo dinamico dei Neko Ashi.
Il motore è la rotazione delle anche utilizzata per schivare ed assorbire.
Nello Shomen e il suo omologo Gyaku, la rotazione è praticamente sul posto l’indicazione dei “90°” rispetto alla linea frontale, ci indica la rotazione da esegeuire , cioè 90° per trovarci, secondo la scelta tattica, rispetto alla linea dell’attacco avversario, Pinan Sandan, o posteriormente, come nel 5° e 6° Sanbon Geri o meglio nel 2° Khion Kumite.
Per lo Gyaku Neko Ashi va precisato che l’anca assume una rotazione “al contrario” e questa caratteristica, ad esempio nello Yondan, lo assimila allo Gyaku Zuki Tobikonde, volendo considerare questa postura nella sua natura di sostegno per un attacco dalla cortissima distanza.

Nel Hanmi Nekoashi, seguendo la stessa indicazione, l’angolo delle anche rispetto alla direzione è di 45° e indica il principio dell’assorbimento utilizzato nel Jujutsu.
La particolarità wado è che oltre all’assorbimento c’è il Nagashi, la schivata, e il Noru, cioè sfruttare l’angolazione della postura provvisoria per lanciare un Uraken portandosi fuori dalla linea di attacco.

Ma Han Mi Neko Ashi, grande apertura dell’anca, fa passare oltre l’attacco ipotizzandolo molto lungo.
Il principio applicato è quello del Nagashi e le tecniche indicate dai kata sono Shuto Uke, Haitto Uke per intercettare e deviare e Kakete per afferrare, come nello Yondan e come caratteristica comune alle posture precedenti, di arrivare a bersaglio utilizzando l’allungo stesso dell’avversario.


martedì 24 settembre 2013

I Nagashi


Gli Scritti del M° Maurizio Orfei. 

I Nagashi

Sarebbe più corretto dire il Nagashi inteso come concetto del combattimento.
La traduzione ordinaria è “schivare”, cioè lasciar passare la tecnica avversaria.
Nella codifica del Wadoryu abbiamo il Tobikomi Nagashi con delle caratteristiche ben definite. 
Si parte da Shizentai, destro o sinistro, si scivola in avanti lungo la linea del piede anteriore, contemporaneamente si lanciano i due pugni, il Mae va a bersaglio mentre l’altro si posizione all’altezza del mento in protezione e contemporaneamente si allineano le anche al vettore di avanzamento per evitare il colpo.Si richiamano le braccia in Kamae e si ritrova l’allineamento richiamando le anche e ritrovando un equilibrio più stabile e riportando indietro, in Shizentai, il piede anteriore.

Il concetto di Nagashi si esprime dalla posizione di Kamae (immagine 1) portando uno Junzuki Chudan e schivando di misura il pugno avversario. Il piede anteriore scivola in avanti diretto, senza fare spostamenti laterali, Naname Ashi, e la forma codificata è quella di Junzuki Dachi classico.
Nel Tobikomi Nagashi abbiamo una distanza diversa dal bersaglio che nella didattica è a livello Jodan.
 Per arrivare, bisogna utilizzare la forma di Notsukomi Junzuki oltre il guadagno in Okuri Ashi, il passo scivolato in avanti sempre sulla linea di avanzamento e non lateralmente.
 
 Per schivare bisogna ruotare le anche: se l’attacco e di pugno, probabilmente la rotazione sul posto è sufficiente (immagine 2). Nel caso del Nagashi da un calcio, oltre la rotazione diventa più importante e trascina con se la gamba e il piede posteriore.

Nel Nagashi Gyakuzuki (immagine 4) la schivata è operata con tutto il corpo. Il braccio Jun assume la forma di una parata e funge quasi da perno per la rotazione del corpo; la postura è quella di Gyakuzuki Dachi per sostenere lo Gyakuzuki ch e trova la sua energia nella traslazione in avanti e nella contro rotazione delle anche, se pur di poca entità.Tutte le forme di Nagashi prevedono la reazione in SEN no SEN, cioè la risposta contemporanea dell’attacco.Questo principio è modulato dal concetto di MA-AI, cioè nel trovare la distanza giusta per noi per portare a bersaglio la nostra tecnica.Per il Wado si parla anche di NORU, legare la tecnica di risposta a quella di attacco e la valutazione dell’applicazione di questo principio va fatta sul movimento complessivo del nostro corpo. E’ la schivata stessa che si adatta, lega, la risposta all’attacco.Il principio di IRIMI, entrare, si attua “andando dritti”, almeno nella fase di studio. 


Giakuzuki e relative posture.

Gli Scritti del M° Maurizio Orfei.

Si parte dalla postura di Junzuki Dachi o Zenkutsu, (immagine Zenkutsu Dachi) dando per scontato la conoscenza della costruzione.

Il pugno costruito su questa posizione con il baricentro avanzato è quello di maggiore gittata senza sacrificare l’equilibrio come nel caso del Notsukomi.

La costruzione statica.
Il Gyakuzuki ha una gittata minore rispetto allo Junzuki se non si utilizzano dinamicamente le anche,
La rotazione vigorosa che sottende il lancio di questo pugno, costringe ad una modifica della distanza fra i piedi che si riduce di circa un piede e di altrettanto si allarga (immagine Giakuzuki Dachi)

La costruzione dinamica.
Alla domanda ricorrente: “Quale piede di muove nello Gyakuzuki?” e l’altra successiva: “Come fa la Wadokai? Come fa la Renmei?”…rispondo che le domande sono sbagliate, entrambe e che, comunque il piede non deve essere mosso per fare Gyakuzuki, ma è costretto a muoversi.

Ora consideriamo le situazioni dinamiche, cioè dove e quando il rapporto distale con l’avversario non corrisponde a quello previsto per l’analisi della costruzione statica, avendo come elemento di base la contro rotazione delle anche, condizione necessaria per l’esecuzione corretta dello Gyaku Zuki.

Prima situazione:
il mio Junzuki è arrivato a bersaglio e l’avversario ha accusato il colpo rimanendo fermo; devo doppiare con Gyakuzuki trovando lo spazio per entrare con la tecnica; contro rotazione dell’anca che conferisce potenza e il mio piede anteriore si sposta lateralmente e indietro giusto di un piede per consentire la massima dinamica alla tecnica nella sua posizione ideale, cioè Gyakuzuki Dachi (immagine Gyakuzuki Dachi)

Seconda situazione:
lancio il mio Junzuki che è assorbito dal mio avversario con un piccolo scivolamento indietro; l’inerzia del mio movimento mi consente di lanciare lo Giakuzuki ruotando le anche ma per compensare la maggiore distanza, devo ruotare un po’ di più e il piede posteriore, l’unico che può muoversi, supporta questa azione avvicinandosi all’altro. (immagine Tobikonde Gyakuzuki Dachi)

Terza situazione:
il mio avversario cerca di trovare il suo MAAI, cioè la distanza per lui opportuna per costruire un attacco; mi muovo cercando di impedirlo e nello stesso tempo di trovare la mia distanza operativa; un piccolo spostamento laterale con il piede anteriore, Soto Ashi, mi permette di avere l’anca caricata per una tecnica Giaku, sia essa uno Tsuki o una tecnica di Geri.( immagine Soto Ashi)

Quarta situazione:
il mio avversario tira un Kizami e schivo spostandomi lateralmente e lancio il mio Giakuzuki di incontro; la schivata mi costringe ad abbassare il baricentro ma devo convogliare l’energia del colpo verso il centro e trovare nella postura, praticamente laterale, la stabilità necessaria per sostenere l’impatto del colpo.
Per questo il piede anteriore che si è spostato lateralmente continua a “guardare” l’avversario…(immagine Tobikomi Giakizuki).

Dovreste pormi una domanda: “Ma tutta questa suddivisione di tecniche serve realmente?”
Se prestate servizio presso i Lagunari o le Teste di Cuoio, non vi serve a niente…

Se invece praticate le Arti Marziale nell’accezione del DO, l’autorealizzazione attraverso il perfezionamento delle azioni, credo che queste disquisizioni possano essere utili, se non necessarie.
Non sono le singole posture viste come elementi statici che determinano gli elementi di uno stile, ma loro funzione in quanto esse stesse sono generate da questa.
Non porto un pugno “bello”, porto un pugno efficace e fra gli elementi che ottimizzano l’efficacia di una tecnica, ci sono le posture come elementi strutturali anatomici fondamentali. 



Le Posture e le loro correlazioni

Gli Scritti del M° Maurizio Orfei

Le posture di Karate sono correlate fra di loro.

Nel combattimento esiste la mobilità e la variabilità continua del baricentro e dell'angolazione delle anche.
Lo schema propone le posture classiche e la trasformazioni in altre in base allo spostamento del baricentro in avanti o in arretramento.
L'altra variabile è l'angolo che si forma con il vettore anteriore relativamente all'arto utilizzato.

Abbiamo quindi la serie dei Junzuki in Shizentai, Kamae, Zenkutsu Dachi, e Notsukomi, posture con baricentro avanzato.

Da queste posture nascono le corrispettive con il baricentro arretrato; Shomen neko ashi, Hanmi Neko Ashi, Ma Hanmi Neko Ashi.
Il Giaku Neko Ashi, chiamato anche Sankaku Dachi proviene dallo spostamento in avanti del baricento partendo dallo Shizentai e il piede posteriore assume la caratteristica forma con il tallone sollevato.

Dalle posture con il baricento in avanti e con l'anca ruotata verso la gamba anteriore, nascono per la controrotazione delle anche, le tecniche Gyaku;
La rotazione delle anche e gli altri fattori del combattimento, cioè la distanza e la schivata inducono ad adattare la posizione dei piedi a queste necessità.
Avremo quindi lo Gyakuzuki dallo Junzuki con il bersaglio alla stessa distanza in cui per arrivare, si dovranno ruotare le anche che come conseguenza costringeranno il piede anteriore ad un piccolo richiamo all'indietro, altrimenti il pugno Gyaku non potrebbe arrivare alla massima estensione possibile.

  Il Gyaku Zuki Notsukomi è una tecnica odiata ma conosciuta che contiene la schivata.

Fra queste due distanze ne esiste una intermedia che ho chiamato Soto Ashi Gyaku Zuki...Soto Ashi è un passo laterale non grande quanto per costruire il Notsukomi ed è più dinamico. La rotazione è contemporanea allo spostamento del piede anteriore.

Tobikonde Gyakuzuki, tanto amata dagli agonisti per l'effetto "trapano" accompagnato da inverecondi Kiai prolungati degni del compianto Pavarotti, è una tecnica che nasce dalla controrotazione delle anche ma che deve anche guadagnare allungo e quindi questo movimento è assecondato dall'avanzamento del piede posteriore che ricorda, ma non è, lo Gyaku Nekoashi, in quanto i piedi dovrebbero essere entrambi poggiati a terra.

La versione sportiva del Tobikonde la consideriamo una licenza poetica....

Le tecniche modulano l'una nelle altre, quasi senza soluzione di continuità e questi ci porta a ragionare sui Renraku Waza.

Delle tecniche e posture in Tobikomi a breve

Maurizio Orfei

martedì 17 settembre 2013

Raro Video di Otsuka Meijin in Italia

Questo video sta facendo il giro delle Bacheche di Facebook di molti Maestri e Istruttori Wado Ryu Italiani.
Una vera chicca per i praticanti di questo stile, si intravede il Sensei Otsuka in uno dei suori rari (forse l'unico) Seminario italiano negli anni'60. Si riconosce il M° Yutaka Toyama (Delegato del Sensei Otsuka in Italia.. oggi credo ritornato in Giappone).

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lunedì 27 maggio 2013

Wadokai e Wadoryu Renmei

WADORYU :Wadokai e Wadoryu Renmei
 Attualmente il Wado Ryu conta due grandi associazioni internazionali: la Wado Kai e la Wado Ryu Renmei.
La prima annovera fra le sue file grandi maestri allievi diretti del Fondatore; la seconda, costituitasi poco prima della morte di Otsuka avvenuta nel 1982, è presieduta dal figlio, M° Otsuka II che prosegue nella strada di ricerca indicata dal Soke .
La Wado Kai, associazione fondata dallo stesso Otsuka aveva come intento la diffusione del Wado Ryu nel mondo anche dal punto di vista del kumite sportivo.
Sensei Otsuka mandò alcuni dei sui allievi più bravi in varie nazioni europee per far conoscere questo stile che ben presto si affermò per le sue caratteristiche applicabili al combattimento sportivo.
Il M° Suzuki elaborò gli Ohio Kumite, combattimenti per l’applicazione reale, proprio per fornire uno strumento di allenamento più aderente a queste nuove esigenze sportive. Essi entrarono a far parte integrante del programma di base, insieme agli ippon kumite, sanbon zuki e geri e ai kihon kumite del Soke.
In Italia venne il M° Toyama nel 1968 formando in più di 15 anni molti istruttori. Altra figura importante fu il M° Yoshoka giunto in Italia nel 1969 e riferimento dei sostenitori del karate sportivo.



A livello internazionale intorno agli anni 75-80, assistiamo al ripudio del M° Otsuka di questa associazione in quanto i maestri da lui formati esigevano, a torto o a ragione, una maggiore autonomia. Questo portò alla fondazione della Wadoryu Renmei e ad una diatriba legale per l’uso del simbolo dello stile. Il tribunale stabilì la diversità degli stili praticati dalle due associazioni e riconobbe l’uso del simbolo storico alla Wado Kay. Il simbolo della Wadoryu Renmei fu modificato sostituendo il pugno fra le ali della colomba con il kanji WA.
         Wado Kai                                                                                           Wado Ryu Renmei
Purtroppo questa divisione è fonte di polemiche e di interessi contrastanti di carattere economico che lasciano interdetti  i praticanti di Wado ryu.
Nel 1981, pochi mesi prima della sua morte, il Soke Otsuka designò suo successore alla guida dello stile e della Wado ryu Renmei il figlio Jiro che assunse il nome del padre, Otsuka Hironori II°.  Il referente europeo della Wado ryu Renmei è il M° Shiomitsu VIII Dan Hanshi, presente in Italia per diverse volte l’anno e portatore di un programma tecnico  rinnovato, comunque concordato con il M° Otsuka II°.
                                                                                                                 
                Saigo Shian Otsuka Hironori II                                       Shiomitsu                                                                                              Masafumi Sensei 
                                                                                            IX Dan Hanshi
   

Il Wadoryu in Italia: WADOKAY
Anche in Italia si riflette questa separazione nelle le due correnti. 
Allo scopo di far conoscere e divulgare il Wado Ryu, Il Maestro Hironori Otsuka inviò in Europa alcuni dei suoi primi allievi: il Maestro Mochizuchi in
Francia, il Maestro Kono in Germania, il Maestro Suzuki in Inghilterra ,e il Maestro Yamashita ed il Maestro Toyama in Italia.

Il primo ad aver per altro fatto conoscere il Wado Ryu in Italia è stato il M° Augusto Basile che dopo aver soggiornato in Francia ed aver appreso dal M° Mochizuki I rudimenti del Wado Ryu, cominciò ad insegnarlo a Roma e si adoperò perchè un rappresentante ufficiale della Wadokai, l'associazione
giapponese che rappresentava lo stile, venisse in Italia.

Il Maestro della Wadokai che soggiornò a Roma fu il M° Yutaka Toyama il quale divenne il punto di riferimento del Karate Wado Ryu in Italia. 


Gran Maestro AUGUSTO BASILE, allievo del grande Maestro Hiroo Mochizuki (Yoseikan).
Oggi il Karate è diffuso e praticato in tutto il mondo. Il Maestro Otsuka, al Karate-do di Okinawa, basato sulla successione "parata-attacco-parata", sostituì la "parata-attacco" in un solo tempo, con cui si scivola rapidamente dentro all’azione di attacco dell’avversario, anticipando la sua tecnica finale. Questo modo di fare è espresso poeticamente nei tre principi:

NAGASU, la rapidità dell’acqua.
INASU, scivolare come una goccia di rugiada.
NORU, fluttuante come l’acqua del mare.

In breve possiamo dire che lo stile Wado-ryu risulta una fusione tra lo Shindo Yoshin-Ryu ed il Karate-do di Okinawa. 


Augusto Basile,nato a Roma nel 1937, pioniere del Karate in Italia e fondatore della Unione Europea di Karate, 9° dan Karate Wado Ryu, (vicino al riconoscimento giapponese del decimo dan), grande esperto di Kendo e Iai Do, già D.T. della gloriosa Nazionale della FIK, attualmente vive a Roma.
 
 http://public.sn2.livefilestore.com/y2pfR3_GRgNtQqnAqY4Z8VUdzcS73XUWaZ6e00KZEgRkenDTZA82ti-nwpshaUiXRIf-eP2CHYG7FBEluv2pr6ijL6RZfPfRymP4WmTX2yX_mU?PARTNER=WRITER&rdrts=44305677

Roma 6 Aprile 2013 - Il Gran Maestro Augusto Basile ( Soke della WADOKAI ITALIA ), accetta l'incarico di coordinare il Karate Wado-Ryu in campo Internazionale - presso la Martial Arts Alliance curando personalmente gli aggiornamenti tecnici. Questo accordo è stato possibile grazie al Dir.Tec. Nazionale del Wado-Ryu MAAItaly ( M° Maurizio Orfei ). La MAAITALY diventa punto centrale per il Karate Wado-Ryu coordinato dal Soke Augusto Basile. 

martedì 23 aprile 2013

Le cinture (Kyu)

Il karate ha il merito di riconoscere l'evoluzione e il livello tecnico raggiunto di chi pratica, attraverso il colore delle cinture (così come in altre arti marziali). Gli stessi esercizi sono pensati in funzione del grado di preparazione, le cinture colorate rappresentano la preparazione, a maturità d'apprendimento.

Nell’ordine decrescente:

cintura bianca (6° kyu)

cintura gialla (5° kyu)

cintura arancione (4° kyu)

cintura verde (3° kyu)

cintura blu (2° kyu)

cintura marrone (1° kyu)


Imparare il karate si dice che inizi proprio dalla cintura nera, ciò che avviene prima con le cinture colorate è solo una preparazione atta a far crescere la capacità tecnica, psicomotoria e l’ auto consapevolezza.

I colori infatti iniziano dal più chiaro per poi scurirsi via via che si "cresce".

Il nero, la cintura nera, rappresenta la piena maturità, il momento in cui consapevolmente si inizia a comprendere e non solo più ad eseguire meccanicamente.

Iniziano le domande e quindi comincia la ricerca delle proprie risposte.







Gli esercizi di stile (Wado Ryu)

Gli esercizi di stile (Wado Ryu)

Ippon Kumite: sono esercizi statici da compiersi in coppia e prevedono un attacco, parata e contrattacco, sono propedeutici per la comprensione delle distanze e per la coordinazione psicomotoria finalizzata alle tecniche

.

Sanbon Kumite: esercizio che prevede la difesa da tre attacchi consecutivi portati a velocità variabile.
Quindi con un'ulteriore elemento di difficoltà rispetto all'esercizio precedente, avendo anche il tempo di attacco come possibile variabile.



Ohyo Kumite: l'applicazione fluida del Sambon kumite, come se fosse un combattimento reale, apprendendo degli schemi tecnici.


Kihon Kumite: in qualche modo il livello più alto di tali esercizi. Prevede schivata, contrattacco e proiezione o sbilanciamento dell'avversario in un unico gesto tecnico.



Kihon: sono esercizi singoli fatti senza compagno e articolati a seconda del grado di preparazione. Hanno lo scopo di studiare le varie tecniche e migliorarne i movimenti e quindi l'efficacia.


Kata: i kata hanno in sè la radice antica del karate, infatti non iniziano mai con una tecnica di offesa, ma sempre di difesa. Ogni inizio d'esecuzione e alla fine è previsto il saluto, non un vuoto rituale, ma il senso profondo del riconoscimento, del reciproco rispetto.

Da qui parte il profondo valore educativo che il karate porta in se.

I Kata sono delle forme di combattimento immaginarie, ma soprattutto delle codificazioni di tecniche che in altri contesti, vedi ambienti di gara, non sarebbe  possibile utilizzare.

La difficoltà di tali forme è di unire forza fisica, determinazione interiore, velocità, ritmo e respirazione.

La difficoltà d'esecuzione tiene presente il grado di preparazione tecnico ed esperenziale di chi le esegue.

A seguire vi sono elencati i nomi dei kata previsti per le cinture colorate e in seguito quelli superiori previsti per le cinture nere.


- Pinan Nidan
- Piana Shodan
- Pinan Sandan
- Pinan Yodan
- Pinan Godan

- Kushanku
- Bassai
- Jihon
- Chinto
- Naihanchi

- Saishan
- Niseishi
- Wanchu
- Rohai
- Jitte


Chuck Norris icona del Cinema Marziale
8 volte Campione del Mondo di Karate 
Ha praticato per anni il Wado Ryu

Bunkai: sono le applicazioni dei kata. Presi da soli i kata, sono spesso incomprensibil a chi li vede dal di fuori, il bunkai li esplicita mostrandone le potenzialità di difesa e di offesa: per questo, a differenza del kata, viene praticato in coppia.






Ogni stile d i Karate ha le sue peculiarità, il che, ovviamente porta a sviluppare determinati schemi che esaltano ed orientano in maniera specifica e diversa, le tecniche spesso comuni al mondo di quest’arte marziale.


venerdì 19 aprile 2013

I DIECI ELEMENTI DEL KATA



I DIECI ELEMENTI DEL KATA

1. YIO NO KISIN (LO STATO MENTALE)
Lo stato mentale in cui il Karateka deve calarsi nel momento che affronta il KATA, è il classico stato di concentrazione simile a quello di un cacciatore in una foresta di animali feroci, la concentrazione mentale che l'individuo assume quando si sente attaccato.
2. NYO (ATTIVO E PASSIVO)
Ricordarsi sempre durante l'esecuzione del KATA l'attacco e la difesa.
3. CHIKARA NO KIOJKU (LA FORZA)
Il modo di usare la forza e il grado di potenza da impiegare esattamente in ogni momento del KATA, in ogni posizione.
4. WAZA NO KANKYU (VELOCITA)
Il grado di velocità da usarsi in ogni tecnica del KATA, in ogni posizione.
5. TAINO SHIN SHOKU (CONTRAZIONE)
Il grado di contrazione ed espansione del corpo in ogni posizione e tecnica del KATA.
6. KOKYU (RESPIRAZIONE)
Si riferisce al controllo della respirazione sempre in perfetta sintonia con ogni movimento del KATA. La respirazione corretta è fondamentale nel Karate.
7. TYAKUGAN (SIGNIFICATO)
Il significato delle varie tecniche. Il Karateka per rendere realistico il Kata deve eseguire ogni tecnica come se stesse effettivamente combattendo, ricordare il significato di ogni movimento e visualizzarlo mentalmente, questo è di grande beneficio all'economia del KATA.
8. KIAI (UNIONE DEL CORPO CON LA MENTE)
Attraverso il Kiai il Karateka esprime il suo spirito combattivo; il Kiai è parte del KATA e va eseguito nei punti prestabiliti.
9. KEITAI NO HOJI (POSIZIONE)
Si riferisce alla corretta posizione da tenersi in ogni azione del KATA. Eseguire delle posizioni sempre uguali e corrette ci permette di tornare esattamente alla linea di partenza (EN-BUSEN).
10. ZANSHIN (GUARDIA)
Restare nella guardia è lo stato mentale di allerta che si deve tenere a KATA terminato, prima di tornare nello stato mentale dello IOI (IOI NO KISIN ). Dopo aver ottenuto un perfetto Zanshin ci si rilassa e poi si effettua il saluto REI


Quando pratichi il Wado-Ryu......



« Quando pratichi il Wado-Ryu come arte marziale, non significa solo impegnarti; ma anche impegnare te stesso ad un certo modo di vivere;
che  include allenamento agli ostacoli della vita e trovare la via per un’esistenza  ricca di significati per tutto il tempo che ti è concesso su questa terra. Attraverso questo modo di vivere potrai raggiungere il Wa e vivere la pienezza della vita. Bisogna trovare il Wa attraverso l’allenamento, una volta entrato nel Wa, tu troverai molte altre vie per crescere e migliorare il tuo modo di vivere.
 Ti aiuterà a migliorare in tutti i settori della tua vita. » (Hironori Otsuka)

Una scuola di combattimento con due anime

Wadoryu: una scuola di combattimento con due anime
di: Maurizio Orfei 
M° Karate Wado Ryu MAA International

 Il Wadoryu è inquadrato nell’universo delle arti marziali come “stile di karate” e assimilato agli altri principali storicamente riconosciuti.

Nel 1940, il Dai Nippn Butoku Kai organizzò il 44th Budo festival in Kyoto e chiese ai vari gruppi e ai loro fondatori di depositare il nome del loro stile o scuola e il programma del loro metodo. Furono quindi posti i nomi di Wado-ryu karate jutsu, Goju-Ryu, Shito-Ryu, e Shotokan-Ryu e prevedevano, come elemento comune oltre al karategi bianco, lo sviluppo didattico attraverso le tre “K”, Khion. Kata e Kumite

Il Wado-Ryu Jujutsu kenpo prevedeva nel suo programma di studi:
- Atemi o “colpo al corpo”, studio approfondito delle “armi” naturali del corpo umano e studio dei colpi.
- 36 kumite kata classici di H. Otsuka I.
- San mi ittai, studio applicativo del principio del “tre in uno”
a) Ten i, il cambiamento della posizione;
b) Ten tai, lo spostamento del corpo;
c) Ten gi, la risposta tecnica.
- Machite to kakete, studio applicativo dei seguenti principi:
a) Gosen no sen (te), parare e contrattaccare contemporaneamente;
b) Sen sen no sen (te), attaccare mentre l’avversario attacca;
c) Sen no sen (te), anticipare.
- Ukemi: studio delle tecniche di caduta.
- Gyaku nage o “proiezioni sul dorso”, studio delle tecniche di proiezione.
- Joshi goshin jutsu: tecniche di difesa personale femminile.
- Idori: studio delle difese a terra.
- Tanto dori: difese da pugnale.
- Shinken shiraha dori: tecniche di difesa dalla spada classica giapponese.
- Kyusho jutsu: “tecniche per colpire i punti vitali”.
- Kappo: tecniche di rianimazione.
- Kuatsu: elementi base di digitopressione e automassaggio antalgico e analgesico giapponese.
Oltre a questi prinicipi, Otsuka registro come appartenenti allo stile 16 Kata di derivazione okinawense :Pinan 1-5, Kusanku, Naihanchi, Seisan, Chinto, Passai, Neseishi, Wanshu, Jion, Jitte, Rohai, Suparinpei e definì questo metodo come la “Via autenticamente giapponese per il combattimento a mano nuda”. C’è da precisare che nel 1936 i kata previsti nella bozza stilistica erano solo 9, Pinan 1-5, Kusanku, Naihanchi, Seisan, Chinto e in seguito furono aggiunti i successivi. Suparimpei è stato trascurato fino a scomparire. Unsu è un kata praticato con alterne fortune ed esiste una versione “wado” elaborata dal M°Ajari al quale Otsuka concesse il privilegio di farsi filmare nell’esecuzione dei principali kata e khion. Esiste un altro kata, Kumpu, che sembra sia un prodotto originale dello stesso Otsuka e divulgato dal M°Belriti .
 Possiamo considerare questo elenco come il manifesto programmatico dello stile da cui sono stati derivati i programmi attuali delle varie correnti internazionali del Wadoryu, le interpretazioni personali di maestri autorevoli e le scelte delle Federazioni.
 Quello che si evince da questa sommaria descrizione è la differenza fra due tipi di kata, quelli originali nipponici derivanti dalle esperienze di jujutsu di Otsuka provenienti dalle tradizioni dei ryu feudali di kenjutsu e quelli okinawensi derivati dal bagaglio tecnico introdotto in Giappone da Funakoshi, Mabuni e Motobu .
Inoltre le modalità esecutive dei Kumite Kata, cioè tutti quegli esercizi a coppia derivati direttamente dalla tradizione di jujutsu, inteso come estrema difesa nel caso della perdita dell’arma contro un avversario militarmente armato, contrastano talvolta con i concetti di combattimento espressi dagli Yakusoku kumite e dai Bunkai estrapolati dai kata di Okinawa e principalmente legati al combattimento a mani nude.
 I veri kata del Wadoryu sono i Khion Kumite  e i successivi Kumite Kata,  intesi comunque come tecniche a coppia elaborati come Ippon, Nihon ,Sanbon e Ohio kumite.
I kata “a solo” sono stati una sorta di forzatura storica necessaria per permettere al Wadoryu di essere considerato come stile di “karate”.
Questa mia affermazione è supportata anche dalla differenza che fra Bunkai  e Kaisetsu che propongono illustri maestri nipponici di Wadoryu
Il Bunkai, comune a tutti gli stili di karate, è l’utilizzo di frazioni di kata per mostrarne l’applicabilità reale.
Il Kaisetsu è l’estrapolazione del principio che sottintende quella frazione di kata e che spesso nella spiegazione si allontana dalla mera sequenza presa in esame inserendo tecniche mutuate dal jujutsu e non esplicitamente presenti.
 Questa doppia anima dello stile costringe i praticanti di Wadoryu a confrontarsi con due diverse modalità motorie: quella del karate, più formalmente definita, e quella del jujutsu legata ad una maggiore concretezza.




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